La Crusca rischia di chiudere. E io la guardo, come si guarda qualcosa che sta per spegnersi.
Io con questo progetto ti porto lì, come testimone.
La Crusca – nata nel 1583, quando ancora il mondo si scriveva a lume di candela – è la più antica accademia linguistica d’Europa. Un luogo che ha attraversato i secoli per custodire qualcosa di invisibile ma potentissimo: la lingua. La nostra lingua. Quella che usiamo per raccontarci, amarci, protestare, crescere.
Eppure oggi, quella stessa istituzione rischia di scomparire per mancanza di fondi. Solo poche persone lavorano lì, tenendo in vita un patrimonio di secoli con risorse che non bastano nemmeno a pagare la luce. Per ogni bolletta non pagata, per ogni libro che non si può acquistare, per ogni voce che non viene ascoltata, si spegne un pezzetto di memoria collettiva.
Mi viene da pensare: com’è possibile che si debba lottare per difendere ciò che siamo? Che serva un appello pubblico per ricordare che la lingua è un bene comune, come l’acqua o l’aria? In Germania, per dire, l’istituto che difende il tedesco riceve 8 milioni di euro l’anno. Qui, a Firenze, la Crusca ne riceve meno di duecentomila.
Sono abituata a lavorare con la luce, ma quando la luce si fa fioca – come in queste stanze, come in questi giorni – occorre aprire il diaframma dell’attenzione. Guardare meglio. E denunciare.
Nel 2015 ho iniziato un percorso fatto di immagini, parole, volti. Lo stesso percorso mi porta oggi a raccontare questa fragilità. Perché non si tratta solo di una sede storica, di una biblioteca, di una villa. Si tratta di un presidio culturale. Di un pezzo della nostra anima.
E allora scatto. Scrivo. Parlo. Perché l’Accademia della Crusca non ha mai chiuso in oltre 400 anni, e non sarà questa generazione – che tanto deve alla parola – a lasciarla morire in silenzio.